Arco e Nero
Un favola di Borlotti
Una lenta alba tiepida di fine maggio principiava a ridipingeva il minuscolo regno del pensionato Razzotti in quel di Campiano di Poppi, da dove il castello dei Conti Guidi pare un modellino di pietra posato sulla collina da un angelo giocoso.
Sulla quercia di fronte già flottavano i verdolini e i merli beccavano l’angolo dell’orto vangato il giorno prima. Il pettirosso studiava nervosamente il piano d’azione giornaliero dall’alto del cancelletto nero di ferro battuto guardando con sospetto la luce già accesa nella cucina della cascina. Ma era tutto silenzio e senza un alito di vento. Il pensionato insonne leggeva o scriveva.
Ormai la piena luce esaltava il tenero fogliame dei peri, dei meli, delle prugne e delle viti in fiore. I frutticini non si vedevano ancora confusi nel fogliame tranne le ciliege che già rosseggiavano.
Scesero via via, sempre più caldi fiotti di luce dalle cime degli alberi sul lungo solco di Borlotti addossato proprio al muretto di recinzione i due più svelti tra loro, sollevarono nello stesso istante la zolletta scura che li ricopriva.
Entrambi un po’ intontiti si intravidero ma non riuscirono nemmeno a salutarsi. Ma la luce divenne sempre più calda e verso mezzogiorno carezzava i solchi come un sole di primo luglio. I due crebbero a vista d’occhio e verso le due del pomeriggio avevano sviluppato uno stelo biancastro di almeno sei centimetri che si apriva verso l’alto con due minuscole escrescenze divaricate ornate da quattro foglioline verde oliva, due sullo stelo come ali che usano l’aria per equilibrarsi, due all’estremità come mani aperte a raccogliere luce.
I due si guardarono con occhi da Borlotti e si salutarono come usano i Borlotti bene educati, cioè tutti. “Ciao Nero – disse il primo con un sorriso Borlotto – Ben ritornato alla vita dopo quasi un anno di sonno!” Lo chiamò Nero per fargli un complimento perché i Borlotti neri erano abbastanza rari nell’orto da cui provenivano. Tra i Borlotti, ma anche tra gli ortaggi in genere, i colori rendono emozionante il creato e ogni colore ha la sua bellezza. Il razzismo dei colori è una stupidità solo degli umani.
“Ciao Arco- rispose divertito e felice l’altro Borlotto neonato che come i vitellini appena nati che subito camminano, i Borlotti già parlano come adulti. Poi aggiunse: “Ber ritornato alla vita anche tu! Passeremo tutta l’estate assieme, l’uno accanto all’altro, e saremo in tanti, anche se noi, siamo stati i più svelti a spuntare. Ne sono proprio felice, Arco!”
Il primo era nero che pareva una perla rara , tanto la sua pelle era scura come l’ebano e lucente d’acqua di mare. Perciò lo chiamavano Nero.
L’altro pareva un sassolino levigato e colorato del mare di Rossano o dell’isola D’Elba: il fondo era bianco ma pennellato di striscioline e puntini rossicci, fucsia, giallini… Arco era il vezzeggiativo di arcobaleno. Arco, un Borlotto felicemente ciarliero disse a Nero:
– Ricordi l’ultima volta che ci siamo visti?
– Altro che . Mi pare siano passati due anni. Fummo selezionati sul luminoso tavolo della cucina dei coniugi Roberto di Cosenza. I nostri fratelli furono messi a bollire in una grossa pignatta che i Roberto, come spesso accadeva, avevano numerosi ospiti. Maria Roberto, ci selezionò assieme ad un centinaio di nostri fratelli e ci regalò al pastore Razzotti raccomandandogli di non smarrirci che venivamo dal suo orto di Cropalati, ci avevano tramandato loro i suoi nonni addirittura, ed eravamo rari. Sperammo di essere seminati la primavera successiva ma il pastore Razzotti che ha sempre la testa tra le nuvole ci dimenticò in un angolo del suo garage. Fortuna che il suo garage è asciutto e il recipiente era perfettamente al buio così abbiamo potuto dormire ma non morire, anche se in paradiso i Borlotti ci saranno tutti senza eccezioni.
“Ancora, dei nostri fratelli non si vede nessuno”, disse un po’ triste Arco rimirando il lungo solco di galestro reso fertile da carriolate generose di stallatico.
“Non temere – rispose Nero fiducioso – Noi non solo siamo di natura un po’ più svelti degli altri ma il vecchio Razzotti, per errore ha fatto con noi la cosa giusta; ci ha coperti di uno strato sottile di terra; gli altri li ha coperti un po’ troppo; ma la stagione è favorevole, vedrai che già domani si vedranno mille germogli sollevare con la schiena tenera dei Borlotti mille zollette di galestro e in pochi giorni saremo in tanti a cercare con i nostri tentacoli le maglie argentata della rete di recinzione. E’ pigro e furbo il Razzotti, noi rampicanti ci ha seminato accanto alla rete di recinzione in maniera da non mettere i pali. Ma a noi va bene così, vero Arco?”
“Altro che, Nero, sarà un godìo arrampicarsi su questa splendida rete e decorarla di gemme. Oh, ecco il Razzotti che guarda il solco perplesso…Oh, attento Nero, ha l’annaffiatoio e pensa che manchiamo d’acqua…”
Per un po’ furono incapaci di parlare perché l’acqua era ghiaccia di pozzo e tremarono di freddo; era ormai sera e ci misero un po’ ad addormentarsi; fortuna che la notte era tiepida e buoni com’erano non criticarono troppo il Razzotti che non sapeva ancora che anche i vegetali, come gli umani, non amano addosso l’acqua ghiaccia.
Erano passate ormai due settimane. Arco e Nero erano ormai parte di un lungo filare che aveva iniziato ad arrampicarsi sulla rete di recinzione. Non che avessero smesso di dialogare tra loro. Erano amici per la pelle ma, era tutto un vociare ma anche un ridere perché in superficie crescevano allargandosi e intrecciandosi sulla rete di cinta ma, anche sottoterra le radici si rincorrevano solleticandosi a vicenda.
Arco e Nero però, essendo vicini parlavano anche di notte ed essendo più mattinieri degli altri, pur sussurrando, continuavano a ciarlare e a coltivare la loro amicizia.
Temevano solo il Razzotti e la sua canna per irrigare che l’acqua era sempre ghiaccia…Ma una sera l’acqua era tiepida, Avevano sentito il contadino vicino rimproverare l’inesperto ortolano e aggiornarlo sulla temperatura dell’acqua che amano gli ortaggi.
“In Calabria – aveva risposto il Razzotti – mio padre che mi ha insegnato a coltivare non badava alla temperatura dell’acqua che era così poca in estate, Bastava che fosse acqua!”
Da alcune mattine, illuminati dai primi fiotti di sole, Arco e Nero, ormai dalla vetta della rete alta due metri, potevano contemplare l’intero giardino.
“E’ minuscolo – disse Nero- ma è proprio bello questo orto giardino disegnato a filari di pomodori, di melanzane di lattughe, di cavolame vario… Il vecchio deve esserne felice…”.
“Si e no – rispose triste Arco – E’ fiero e grato al Creatore del suo giardino ma, è un uomo triste il Razzotti, molto triste!”
“Ne sai il motivo? Chiese Nero:
“Oh, si – rispose mestamente Arco – Un sera che tu già ronfavi l’ho sentito parlare con la moglie.
Erano seduti sulla panchina di fronte e si tenevano per mano come fidanzatini. C’era una gran luna, anche i grilli stranamente tacevano e il silenzio era tale da avvertire il passaggio di una lucciola.
“Racconta, racconta!” Disse ansioso Nero che era un bonario gran curiosone.
“Era molto triste quella sera il vecchio e la moglie gliene chiese il motivo ricordandogli che in altri tempi, in una notte come questa, sarebbe stato euforico e forse avrebbe parlato del progetto di avere un giorno una casa tra i boschi e un giardino come questo che quella notte profumava di falsi Gelsomini… Rispose l’emerito:
“Capita tesoro, capita… Non il giardino ma la speranza che abbiamo coltivato nel cuore e predicato durante gli ultimi cinquanta anni…Dovrebbe togliere da noi ogni tristezza… Ma paradossalmente, seppur ci fornisce ogni giorno l’energia spirituale per andare avanti, la nostra Beata Speranza, ci rende sensibili a cosa accade oltre questo orto tutti i giorni, a cosa sin qui è accaduto nonostante la Parola della nostra Speranza è annunciata e accettata da duemila anni, da folle…”
Gli rispose la sua sposa:
“Eppure accadono tante cose belle nel mondo, l’Evangelo e lo Spirito ispirano i tanti operatori di Pace che producono bellezza nel mondo…”
“E’ certo vero e questo ci rallegra e ci fa vivere ma proprio l’Evangelo ci ricorda gli orrori in cui tutto ciò avviene… La follia umana. Più vicini all’Evangelo siamo più la follia umana aumenta ai nostri occhi di grado, da divenire quasi insopportabile… Guarda per esempio quei meravigliosi Borlotti… Ho l’impressione che la rete di recinzione alta due metri la supereranno tra pochi giorni. Presto sarà un tripudio di colori. Se guarderai i loro fiori da vicino sembreranno mille e mille minuscole orchidee spruzzate di bianco, di fucsia, di giallo, di rosa, di rosso, di amaranto spesso combinate assieme da un pittore raro in ognuno dei minuscoli bocci. Poi, in breve saranno baccelli rossi fucsia in generale ma ce ne saranno di neri e di viola. Sarà una meraviglia, ma…”
“Ma? Chiese la sposa
“ Sono arrivati sin qui dopo avere visto la tragedia infinita dell’uso criminale e sanguinoso della croce… Al tempo de “Conquistatores”, avidi cercatori d’oro senza scrupoli, i Borlotti crescevano solo in Centro America. Sono arrivati da noi dopo aver visto il loro mondo devastato, i suoi abitanti convertiti sotto il tiro dell’archibugio o sterminati…Non solo la TV ci inonda di delitti,di guerre, di atrocità ma anche una semplici fila di Borlotti ci racconta lo scandalo della storia passata, presente, e futura purtroppo che solo la nostra Beata Speranza interromperà per sempre.”
Nero e Arco parlavano forte. Il loro racconto passò da Borlotto a Borlotto e ogni boccio si inumidì di rugiada e di lacrime minuscole, di Borlotti.
Arco e Nero
Un favola di Borlotti
Una lenta alba tiepida di fine maggio principiava a ridipingeva il minuscolo regno del pensionato Razzotti in quel di Campiano di Poppi, da dove il castello dei Conti Guidi pare un modellino di pietra posato sulla collina da un angelo giocoso.
Sulla quercia di fronte già frottavano i verdolini e i merli beccavano l’angolo dell’orto vangato il giorno prima. Il pettirosso studiava nervosamente il piano d’azione giornaliero dall’alto del cancelletto nero di ferro battuto guardando con sospetto la luce già accesa nella cucina della cascina. Ma era tutto silenzio e senza un alito di vento. Il pensionato insonne leggeva o scriveva.
Ormai la piena luce esaltava il tenero fogliame dei peri, dei meli, delle prugne e delle viti in fiore. I frutticini non si vedevano ancora confusi nel fogliame tranne le ciliege che già rosseggiavano.
Scesero via via, sempre più caldi fiotti di luce dalle cime degli alberi sul lungo solco di Borlotti addossato proprio al muretto di recinzione i due più svelti tra loro, sollevarono nello stesso istante la zolletta scura che li ricopriva.
Entrambi un po’ intontiti si intravidero ma non riuscirono nemmeno a salutarsi. Ma la luce divenne sempre più calda e verso mezzogiorno carezzava i solchi come un sole di primo luglio. I due crebbero a vista d’occhio e verso le due del pomeriggio avevano sviluppato uno stelo biancastro di almeno sei centimetri che si apriva verso l’alto con due minuscole escrescenze divaricate ornate da quattro foglioline verde oliva, due sullo stelo come ali che usano l’aria per equilibrarsi, due all’estremità come mani aperte a raccogliere luce.
I due si guardarono con occhi da Borlotti e si salutarono come usano i Borlotti bene educati, cioè tutti. “Ciao Nero – disse il primo con un sorriso Borlotto – Ben ritornato alla vita dopo quasi un anno di sonno!” Lo chiamò Nero per fargli un complimento perché i Borlotti neri erano abbastanza rari nell’orto da cui provenivano. Tra i Borlotti, ma anche tra gli ortaggi in genere, i colori rendono emozionante il creato e ogni colore ha la sua bellezza. Il razzismo dei colori è una stupidità solo degli umani.
“Ciao Arco- rispose divertito e felice l’altro Borlotto neonato che come i vitellini appena nati che subito camminano, i Borlotti già parlano come adulti. Poi aggiunse: “Ber ritornato alla vita anche tu! Passeremo tutta l’estate assieme, l’uno accanto all’altro, e saremo in tanti, anche se noi, siamo stati i più svelti a spuntare. Ne sono proprio felice, Arco!”
Il primo era nero che pareva una perla rara , tanto la sua pelle era scura come l’ebano e lucente d’acqua di mare. Perciò lo chiamavano Nero.
L’altro pareva un sassolino levigato e colorato del mare di Rossano o dell’isola D’Elba: il fondo era bianco ma pennellato di striscioline e puntini rossicci, fucsia, giallini… Arco era il vezzeggiativo di arcobaleno. Arco, un Borlotto felicemente ciarliero disse a Nero:
– Ricordi l’ultima volta che ci siamo visti?
– Altro che . Mi pare siano passati due anni. Fummo selezionati sul luminoso tavolo della cucina dei coniugi Roberto di Cosenza. I nostri fratelli furono messi a bollire in una grossa pignatta che i Roberto, come spesso accadeva, avevano numerosi ospiti. Maria Roberto, ci selezionò assieme ad un centinaio di nostri fratelli e ci regalò al pastore Razzotti raccomandandogli di non smarrirci che venivamo dal suo orto di Cropalati, ci avevano tramandato loro i suoi nonni addirittura, ed eravamo rari. Sperammo di essere seminati la primavera successiva ma il pastore Razzotti che ha sempre la testa tra le nuvole ci dimenticò in un angolo del suo garage. Fortuna che il suo garage è asciutto e il recipiente era perfettamente al buio così abbiamo potuto dormire ma non morire, anche se in paradiso i Borlotti ci saranno tutti senza eccezioni.
“Ancora, dei nostri fratelli non si vede nessuno”, disse un po’ triste Arco rimirando il lungo solco di galestro reso fertile da carriolante generose di stallatico.
“Non temere – rispose Nero fiducioso – Noi non solo siamo di natura un po’ più svelti degli altri ma il vecchio Razzotti, per errore ha fatto con noi la cosa giusta; ci ha coperti di uno strato sottile di terra; gli altri li ha coperti un po’ troppo; ma la stagione è favorevole, vedrai che già domani si vedranno mille germogli sollevare con la schiena tenera dei Borlotti mille zollette di galestro e in pochi giorni saremo in tanti a cercare con i nostri tentacoli le maglie argentata della rete di recinzione. E’ pigro e furbo il Razzotti, noi rampicanti ci ha seminato accanto alla rete di recinzione in maniera da non mettere i pali. Ma a noi va bene così, vero Arco?”
“Altro che, Nero, sarà un godìo arrampicarsi su questa splendida rete e decorarla di gemme. Oh, ecco il Razzotti che guarda il solco perplesso…Oh, attento Nero, ha l’annaffiatoio e pensa che manchiamo d’acqua…”
Per un po’ furono incapaci di parlare perché l’acqua era ghiaccia di pozzo e tremarono di freddo; era ormai sera e ci misero un po’ ad addormentarsi; fortuna che la notte era tiepida e buoni com’erano non criticarono troppo il Razzotti che non sapeva ancora che anche i vegetali, come gli umani, non amano addosso l’acqua ghiaccia.
Erano passate ormai due settimane. Arco e Nero erano ormai parte di un lungo filare che aveva iniziato ad arrampicarsi sulla rete di recinzione. Non che avessero smesso di dialogare tra loro. Erano amici per la pelle ma, era tutto un vociare ma anche un ridere perché in superficie crescevano allargandosi e intrecciandosi sulla rete di cinta ma, anche sottoterra le radici si rincorrevano solleticandosi a vicenda.
Arco e Nero però, essendo vicini parlavano anche di notte ed essendo più mattinieri degli altri, pur sussurrando, continuavano a ciarlare e a coltivare la loro amicizia.
Temevano solo il Razzotti e la sua canna per irrigare che l’acqua era sempre ghiaccia…Ma una sera l’acqua era tiepida, Avevano sentito il contadino vicino rimproverare l’inesperto ortolano e aggiornarlo sulla temperatura dell’acqua che amano gli ortaggi.
“In Calabria – aveva risposto il Razzotti – mio padre che mi ha insegnato a coltivare non badava alla temperatura dell’acqua che era così poca in estate, Bastava che fosse acqua!”
Da alcune mattine, illuminati dai primi fiotti di sole, Arco e Nero, ormai dalla vetta della rete alta due metri, potevano contemplare l’intero giardino.
“E’ minuscolo – disse Nero- ma è proprio bello questo orto giardino disegnato a filari di pomodori, di melanzane di lattughe, di cavolame vario…Il vecchio deve esserne felice…”.
“Si e no – rispose triste Arco – E’ fiero e grato al Creatore del suo giardino ma, è un uomo triste il Razzotti, molto triste!”
“Ne sai il motivo? Chiese Nero:
“Oh, si – rispose mestamente Arco – Un sera che tu già ronfavi l’ho sentito parlare con la moglie.
Erano seduti sulla panchina di fronte e si tenevano per mano come fidanzatini. C’era una gran luna, anche i grilli stranamente tacevano e il silenzio era tale da avvertire il passaggio di una lucciola.
“Racconta, racconta!” Disse ansioso Nero che era un bonario gran curiosone.
“Era molto triste quella sera il vecchio e la moglie gliene chiese il motivo ricordandogli che in altri tempi, in una notte come questa, sarebbe stato euforico e forse avrebbe parlato del progetto di avere un giorno una casa tra i boschi e un giardino come questo che quella notte profumava di falsi Gelsomini… Rispose l’emerito:
“Capita tesoro, capita… Non il giardino ma la speranza che abbiamo coltivato nel cuore e predicato durante gli ultimi cinquanta anni…Dovrebbe togliere da noi ogni tristezza… Ma paradossalmente, seppur ci fornisce ogni giorno l’energia spirituale per andare avanti, la nostra Beata Speranza, ci rende sensibili a cosa accade oltre questo orto tutti i giorni, a cosa sin qui è accaduto nonostante la Parola della nostra Speranza è annunciata e accettata da duemila anni, da folle…”
Gli rispose la sua sposa:
“Eppure accadono tante cose belle nel mondo, l’Evangelo e lo Spirito ispirano i tanti operatori di Pace che producono bellezza nel mondo…”
“E’ certo vero e questo ci rallegra e ci fa vivere ma proprio l’Evangelo ci ricorda gli orrori in cui tutto ciò avviene… La follia umana. Più vicini all’Evangelo siamo più la follia umana aumenta ai nostri occhi di grado, da divenire quasi insopportabile… Guarda per esempio quei meravigliosi Borlotti… Ho l’impressione che la rete di recinzione alta due metri la supereranno tra pochi giorni. Presto sarà un tripudio di colori. Se guarderai i loro fiori da vicino sembreranno mille e mille minuscole orchidee spruzzate di bianco, di fucsia, di giallo, di rosa, di rosso, di amaranto spesso combinate assieme da un pittore raro in ognuno dei minuscoli bocci. Poi, in breve saranno baccelli rossi fucsia in generale ma ce ne saranno di neri e di viola. Sarà una meraviglia, ma…”
“Ma? Chiese la sposa
“ Sono arrivati sin qui dopo avere visto la tragedia infinita dell’uso criminale e sanguinoso della croce… Al tempo de “Conquistatores”, avidi cercatori d’oro senza scrupoli, i Borlotti crescevano solo in Centro America. Sono arrivati da noi dopo aver visto il loro mondo devastato, i suoi abitanti convertiti sotto il tiro dell’archibugio o sterminati…Non solo la TV ci inonda di delitti,di guerre, di atrocità ma anche una semplici fila di Borlotti ci racconta lo scandalo della storia passat, presente, e futura purtroppo che solo la nostra Beata Speranza interromperà per sempre.”
Nero e Arco parlavano forte. Il loro racconto passò da Borlotto a Borlotto e ogni boccio si inumidì di rugiada e di lacrime minuscole, di Borlotti.
Arco e Nero
Un favola di Borlotti
Una lenta alba tiepida di fine maggio principiava a ridipingeva il minuscolo regno del pensionato Razzotti in quel di Campiano di Poppi, da dove il castello dei Conti Guidi pare un modellino di pietra posato sulla collina da un angelo giocoso.
Sulla quercia di fronte già frottavano i verdolini e i merli beccavano l’angolo dell’orto vangato il giorno prima. Il pettirosso studiava nervosamente il piano d’azione giornaliero dall’alto del cancelletto nero di ferro battuto guardando con sospetto la luce già accesa nella cucina della cascina. Ma era tutto silenzio e senza un alito di vento. Il pensionato insonne leggeva o scriveva.
Ormai la piena luce esaltava il tenero fogliame dei peri, dei meli, delle prugne e delle viti in fiore. I frutticini non si vedevano ancora confusi nel fogliame tranne le ciliege che già rosseggiavano.
Scesero via via, sempre più caldi fiotti di luce dalle cime degli alberi sul lungo solco di Borlotti addossato proprio al muretto di recinzione i due più svelti tra loro, sollevarono nello stesso istante la zolletta scura che li ricopriva.
Entrambi un po’ intontiti si intravidero ma non riuscirono nemmeno a salutarsi. Ma la luce divenne sempre più calda e verso mezzogiorno carezzava i solchi come un sole di primo luglio. I due crebbero a vista d’occhio e verso le due del pomeriggio avevano sviluppato uno stelo biancastro di almeno sei centimetri che si apriva verso l’alto con due minuscole escrescenze divaricate ornate da quattro foglioline verde oliva, due sullo stelo come ali che usano l’aria per equilibrarsi, due all’estremità come mani aperte a raccogliere luce.
I due si guardarono con occhi da Borlotti e si salutarono come usano i Borlotti bene educati, cioè tutti. “Ciao Nero – disse il primo con un sorriso Borlotto – Ben ritornato alla vita dopo quasi un anno di sonno!” Lo chiamò Nero per fargli un complimento perché i Borlotti neri erano abbastanza rari nell’orto da cui provenivano. Tra i Borlotti, ma anche tra gli ortaggi in genere, i colori rendono emozionante il creato e ogni colore ha la sua bellezza. Il razzismo dei colori è una stupidità solo degli umani.
“Ciao Arco- rispose divertito e felice l’altro Borlotto neonato che come i vitellini appena nati che subito camminano, i Borlotti già parlano come adulti. Poi aggiunse: “Ber ritornato alla vita anche tu! Passeremo tutta l’estate assieme, l’uno accanto all’altro, e saremo in tanti, anche se noi, siamo stati i più svelti a spuntare. Ne sono proprio felice, Arco!”
Il primo era nero che pareva una perla rara , tanto la sua pelle era scura come l’ebano e lucente d’acqua di mare. Perciò lo chiamavano Nero.
L’altro pareva un sassolino levigato e colorato del mare di Rossano o dell’isola D’Elba: il fondo era bianco ma pennellato di striscioline e puntini rossicci, fucsia, giallini… Arco era il vezzeggiativo di arcobaleno. Arco, un Borlotto felicemente ciarliero disse a Nero:
– Ricordi l’ultima volta che ci siamo visti?
– Altro che . Mi pare siano passati due anni. Fummo selezionati sul luminoso tavolo della cucina dei coniugi Roberto di Cosenza. I nostri fratelli furono messi a bollire in una grossa pignatta che i Roberto, come spesso accadeva, avevano numerosi ospiti. Maria Roberto, ci selezionò assieme ad un centinaio di nostri fratelli e ci regalò al pastore Razzotti raccomandandogli di non smarrirci che venivamo dal suo orto di Cropalati, ci avevano tramandato loro i suoi nonni addirittura, ed eravamo rari. Sperammo di essere seminati la primavera successiva ma il pastore Razzotti che ha sempre la testa tra le nuvole ci dimenticò in un angolo del suo garage. Fortuna che il suo garage è asciutto e il recipiente era perfettamente al buio così abbiamo potuto dormire ma non morire, anche se in paradiso i Borlotti ci saranno tutti senza eccezioni.
“Ancora, dei nostri fratelli non si vede nessuno”, disse un po’ triste Arco rimirando il lungo solco di galestro reso fertile da carriolante generose di stallatico.
“Non temere – rispose Nero fiducioso – Noi non solo siamo di natura un po’ più svelti degli altri ma il vecchio Razzotti, per errore ha fatto con noi la cosa giusta; ci ha coperti di uno strato sottile di terra; gli altri li ha coperti un po’ troppo; ma la stagione è favorevole, vedrai che già domani si vedranno mille germogli sollevare con la schiena tenera dei Borlotti mille zollette di galestro e in pochi giorni saremo in tanti a cercare con i nostri tentacoli le maglie argentata della rete di recinzione. E’ pigro e furbo il Razzotti, noi rampicanti ci ha seminato accanto alla rete di recinzione in maniera da non mettere i pali. Ma a noi va bene così, vero Arco?”
“Altro che, Nero, sarà un godìo arrampicarsi su questa splendida rete e decorarla di gemme. Oh, ecco il Razzotti che guarda il solco perplesso…Oh, attento Nero, ha l’annaffiatoio e pensa che manchiamo d’acqua…”
Per un po’ furono incapaci di parlare perché l’acqua era ghiaccia di pozzo e tremarono di freddo; era ormai sera e ci misero un po’ ad addormentarsi; fortuna che la notte era tiepida e buoni com’erano non criticarono troppo il Razzotti che non sapeva ancora che anche i vegetali, come gli umani, non amano addosso l’acqua ghiaccia.
Erano passate ormai due settimane. Arco e Nero erano ormai parte di un lungo filare che aveva iniziato ad arrampicarsi sulla rete di recinzione. Non che avessero smesso di dialogare tra loro. Erano amici per la pelle ma, era tutto un vociare ma anche un ridere perché in superficie crescevano allargandosi e intrecciandosi sulla rete di cinta ma, anche sottoterra le radici si rincorrevano solleticandosi a vicenda.
Arco e Nero però, essendo vicini parlavano anche di notte ed essendo più mattinieri degli altri, pur sussurrando, continuavano a ciarlare e a coltivare la loro amicizia.
Temevano solo il Razzotti e la sua canna per irrigare che l’acqua era sempre ghiaccia…Ma una sera l’acqua era tiepida, Avevano sentito il contadino vicino rimproverare l’inesperto ortolano e aggiornarlo sulla temperatura dell’acqua che amano gli ortaggi.
“In Calabria – aveva risposto il Razzotti – mio padre che mi ha insegnato a coltivare non badava alla temperatura dell’acqua che era così poca in estate, Bastava che fosse acqua!”
Da alcune mattine, illuminati dai primi fiotti di sole, Arco e Nero, ormai dalla vetta della rete alta due metri, potevano contemplare l’intero giardino.
“E’ minuscolo – disse Nero- ma è proprio bello questo orto giardino disegnato a filari di pomodori, di melanzane di lattughe, di cavolame vario…Il vecchio deve esserne felice…”.
“Si e no – rispose triste Arco – E’ fiero e grato al Creatore del suo giardino ma, è un uomo triste il Razzotti, molto triste!”
“Ne sai il motivo? Chiese Nero:
“Oh, si – rispose mestamente Arco – Un sera che tu già ronfavi l’ho sentito parlare con la moglie.
Erano seduti sulla panchina di fronte e si tenevano per mano come fidanzatini. C’era una gran luna, anche i grilli stranamente tacevano e il silenzio era tale da avvertire il passaggio di una lucciola.
“Racconta, racconta!” Disse ansioso Nero che era un bonario gran curiosone.
“Era molto triste quella sera il vecchio e la moglie gliene chiese il motivo ricordandogli che in altri tempi, in una notte come questa, sarebbe stato euforico e forse avrebbe parlato del progetto di avere un giorno una casa tra i boschi e un giardino come questo che quella notte profumava di falsi Gelsomini… Rispose l’emerito:
“Capita tesoro, capita… Non il giardino ma la speranza che abbiamo coltivato nel cuore e predicato durante gli ultimi cinquanta anni…Dovrebbe togliere da noi ogni tristezza… Ma paradossalmente, seppur ci fornisce ogni giorno l’energia spirituale per andare avanti, la nostra Beata Speranza, ci rende sensibili a cosa accade oltre questo orto tutti i giorni, a cosa sin qui è accaduto nonostante la Parola della nostra Speranza è annunciata e accettata da duemila anni, da folle…”
Gli rispose la sua sposa:
“Eppure accadono tante cose belle nel mondo, l’Evangelo e lo Spirito ispirano i tanti operatori di Pace che producono bellezza nel mondo…”
“E’ certo vero e questo ci rallegra e ci fa vivere ma proprio l’Evangelo ci ricorda gli orrori in cui tutto ciò avviene… La follia umana. Più vicini all’Evangelo siamo più la follia umana aumenta ai nostri occhi di grado, da divenire quasi insopportabile… Guarda per esempio quei meravigliosi Borlotti… Ho l’impressione che la rete di recinzione alta due metri la supereranno tra pochi giorni. Presto sarà un tripudio di colori. Se guarderai i loro fiori da vicino sembreranno mille e mille minuscole orchidee spruzzate di bianco, di fucsia, di giallo, di rosa, di rosso, di amaranto spesso combinate assieme da un pittore raro in ognuno dei minuscoli bocci. Poi, in breve saranno baccelli rossi fucsia in generale ma ce ne saranno di neri e di viola. Sarà una meraviglia, ma…”
“Ma? Chiese la sposa
“ Sono arrivati sin qui dopo avere visto la tragedia infinita dell’uso criminale e sanguinoso della croce… Al tempo de “Conquistatores”, avidi cercatori d’oro senza scrupoli, i Borlotti crescevano solo in Centro America. Sono arrivati da noi dopo aver visto il loro mondo devastato, i suoi abitanti convertiti sotto il tiro dell’archibugio o sterminati…Non solo la TV ci inonda di delitti,di guerre, di atrocità ma anche una semplici fila di Borlotti ci racconta lo scandalo della storia passat, presente, e futura purtroppo che solo la nostra Beata Speranza interromperà per sempre.”
Nero e Arco parlavano forte. Il loro racconto passò da Borlotto a Borlotto e ogni boccio si inumidì di rugiada e di lacrime minuscole, di Borlotti.
Arco e Nero
Un favola di Borlotti
Una lenta alba tiepida di fine maggio principiava a ridipingeva il minuscolo regno del pensionato Razzotti in quel di Campiano di Poppi, da dove il castello dei Conti Guidi pare un modellino di pietra posato sulla collina da un angelo giocoso.
Sulla quercia di fronte già frottavano i verdolini e i merli beccavano l’angolo dell’orto vangato il giorno prima. Il pettirosso studiava nervosamente il piano d’azione giornaliero dall’alto del cancelletto nero di ferro battuto guardando con sospetto la luce già accesa nella cucina della cascina. Ma era tutto silenzio e senza un alito di vento. Il pensionato insonne leggeva o scriveva.
Ormai la piena luce esaltava il tenero fogliame dei peri, dei meli, delle prugne e delle viti in fiore. I frutticini non si vedevano ancora confusi nel fogliame tranne le ciliege che già rosseggiavano.
Scesero via via, sempre più caldi fiotti di luce dalle cime degli alberi sul lungo solco di Borlotti addossato proprio al muretto di recinzione i due più svelti tra loro, sollevarono nello stesso istante la zolletta scura che li ricopriva.
Entrambi un po’ intontiti si intravidero ma non riuscirono nemmeno a salutarsi. Ma la luce divenne sempre più calda e verso mezzogiorno carezzava i solchi come un sole di primo luglio. I due crebbero a vista d’occhio e verso le due del pomeriggio avevano sviluppato uno stelo biancastro di almeno sei centimetri che si apriva verso l’alto con due minuscole escrescenze divaricate ornate da quattro foglioline verde oliva, due sullo stelo come ali che usano l’aria per equilibrarsi, due all’estremità come mani aperte a raccogliere luce.
I due si guardarono con occhi da Borlotti e si salutarono come usano i Borlotti bene educati, cioè tutti. “Ciao Nero – disse il primo con un sorriso Borlotto – Ben ritornato alla vita dopo quasi un anno di sonno!” Lo chiamò Nero per fargli un complimento perché i Borlotti neri erano abbastanza rari nell’orto da cui provenivano. Tra i Borlotti, ma anche tra gli ortaggi in genere, i colori rendono emozionante il creato e ogni colore ha la sua bellezza. Il razzismo dei colori è una stupidità solo degli umani.
“Ciao Arco- rispose divertito e felice l’altro Borlotto neonato che come i vitellini appena nati che subito camminano, i Borlotti già parlano come adulti. Poi aggiunse: “Ber ritornato alla vita anche tu! Passeremo tutta l’estate assieme, l’uno accanto all’altro, e saremo in tanti, anche se noi, siamo stati i più svelti a spuntare. Ne sono proprio felice, Arco!”
Il primo era nero che pareva una perla rara , tanto la sua pelle era scura come l’ebano e lucente d’acqua di mare. Perciò lo chiamavano Nero.
L’altro pareva un sassolino levigato e colorato del mare di Rossano o dell’isola D’Elba: il fondo era bianco ma pennellato di striscioline e puntini rossicci, fucsia, giallini… Arco era il vezzeggiativo di arcobaleno. Arco, un Borlotto felicemente ciarliero disse a Nero:
– Ricordi l’ultima volta che ci siamo visti?
– Altro che . Mi pare siano passati due anni. Fummo selezionati sul luminoso tavolo della cucina dei coniugi Roberto di Cosenza. I nostri fratelli furono messi a bollire in una grossa pignatta che i Roberto, come spesso accadeva, avevano numerosi ospiti. Maria Roberto, ci selezionò assieme ad un centinaio di nostri fratelli e ci regalò al pastore Razzotti raccomandandogli di non smarrirci che venivamo dal suo orto di Cropalati, ci avevano tramandato loro i suoi nonni addirittura, ed eravamo rari. Sperammo di essere seminati la primavera successiva ma il pastore Razzotti che ha sempre la testa tra le nuvole ci dimenticò in un angolo del suo garage. Fortuna che il suo garage è asciutto e il recipiente era perfettamente al buio così abbiamo potuto dormire ma non morire, anche se in paradiso i Borlotti ci saranno tutti senza eccezioni.
“Ancora, dei nostri fratelli non si vede nessuno”, disse un po’ triste Arco rimirando il lungo solco di galestro reso fertile da carriolante generose di stallatico.
“Non temere – rispose Nero fiducioso – Noi non solo siamo di natura un po’ più svelti degli altri ma il vecchio Razzotti, per errore ha fatto con noi la cosa giusta; ci ha coperti di uno strato sottile di terra; gli altri li ha coperti un po’ troppo; ma la stagione è favorevole, vedrai che già domani si vedranno mille germogli sollevare con la schiena tenera dei Borlotti mille zollette di galestro e in pochi giorni saremo in tanti a cercare con i nostri tentacoli le maglie argentata della rete di recinzione. E’ pigro e furbo il Razzotti, noi rampicanti ci ha seminato accanto alla rete di recinzione in maniera da non mettere i pali. Ma a noi va bene così, vero Arco?”
“Altro che, Nero, sarà un godìo arrampicarsi su questa splendida rete e decorarla di gemme. Oh, ecco il Razzotti che guarda il solco perplesso…Oh, attento Nero, ha l’annaffiatoio e pensa che manchiamo d’acqua…”
Per un po’ furono incapaci di parlare perché l’acqua era ghiaccia di pozzo e tremarono di freddo; era ormai sera e ci misero un po’ ad addormentarsi; fortuna che la notte era tiepida e buoni com’erano non criticarono troppo il Razzotti che non sapeva ancora che anche i vegetali, come gli umani, non amano addosso l’acqua ghiaccia.
Erano passate ormai due settimane. Arco e Nero erano ormai parte di un lungo filare che aveva iniziato ad arrampicarsi sulla rete di recinzione. Non che avessero smesso di dialogare tra loro. Erano amici per la pelle ma, era tutto un vociare ma anche un ridere perché in superficie crescevano allargandosi e intrecciandosi sulla rete di cinta ma, anche sottoterra le radici si rincorrevano solleticandosi a vicenda.
Arco e Nero però, essendo vicini parlavano anche di notte ed essendo più mattinieri degli altri, pur sussurrando, continuavano a ciarlare e a coltivare la loro amicizia.
Temevano solo il Razzotti e la sua canna per irrigare che l’acqua era sempre ghiaccia…Ma una sera l’acqua era tiepida, Avevano sentito il contadino vicino rimproverare l’inesperto ortolano e aggiornarlo sulla temperatura dell’acqua che amano gli ortaggi.
“In Calabria – aveva risposto il Razzotti – mio padre che mi ha insegnato a coltivare non badava alla temperatura dell’acqua che era così poca in estate, Bastava che fosse acqua!”
Da alcune mattine, illuminati dai primi fiotti di sole, Arco e Nero, ormai dalla vetta della rete alta due metri, potevano contemplare l’intero giardino.
“E’ minuscolo – disse Nero- ma è proprio bello questo orto giardino disegnato a filari di pomodori, di melanzane di lattughe, di cavolame vario…Il vecchio deve esserne felice…”.
“Si e no – rispose triste Arco – E’ fiero e grato al Creatore del suo giardino ma, è un uomo triste il Razzotti, molto triste!”
“Ne sai il motivo? Chiese Nero:
“Oh, si – rispose mestamente Arco – Un sera che tu già ronfavi l’ho sentito parlare con la moglie.
Erano seduti sulla panchina di fronte e si tenevano per mano come fidanzatini. C’era una gran luna, anche i grilli stranamente tacevano e il silenzio era tale da avvertire il passaggio di una lucciola.
“Racconta, racconta!” Disse ansioso Nero che era un bonario gran curiosone.
“Era molto triste quella sera il vecchio e la moglie gliene chiese il motivo ricordandogli che in altri tempi, in una notte come questa, sarebbe stato euforico e forse avrebbe parlato del progetto di avere un giorno una casa tra i boschi e un giardino come questo che quella notte profumava di falsi Gelsomini… Rispose l’emerito:
“Capita tesoro, capita… Non il giardino ma la speranza che abbiamo coltivato nel cuore e predicato durante gli ultimi cinquanta anni…Dovrebbe togliere da noi ogni tristezza… Ma paradossalmente, seppur ci fornisce ogni giorno l’energia spirituale per andare avanti, la nostra Beata Speranza, ci rende sensibili a cosa accade oltre questo orto tutti i giorni, a cosa sin qui è accaduto nonostante la Parola della nostra Speranza è annunciata e accettata da duemila anni, da folle…”
Gli rispose la sua sposa:
“Eppure accadono tante cose belle nel mondo, l’Evangelo e lo Spirito ispirano i tanti operatori di Pace che producono bellezza nel mondo…”
“E’ certo vero e questo ci rallegra e ci fa vivere ma proprio l’Evangelo ci ricorda gli orrori in cui tutto ciò avviene… La follia umana. Più vicini all’Evangelo siamo più la follia umana aumenta ai nostri occhi di grado, da divenire quasi insopportabile… Guarda per esempio quei meravigliosi Borlotti… Ho l’impressione che la rete di recinzione alta due metri la supereranno tra pochi giorni. Presto sarà un tripudio di colori. Se guarderai i loro fiori da vicino sembreranno mille e mille minuscole orchidee spruzzate di bianco, di fucsia, di giallo, di rosa, di rosso, di amaranto spesso combinate assieme da un pittore raro in ognuno dei minuscoli bocci. Poi, in breve saranno baccelli rossi fucsia in generale ma ce ne saranno di neri e di viola. Sarà una meraviglia, ma…”
“Ma? Chiese la sposa
“ Sono arrivati sin qui dopo avere visto la tragedia infinita dell’uso criminale e sanguinoso della croce… Al tempo de “Conquistatores”, avidi cercatori d’oro senza scrupoli, i Borlotti crescevano solo in Centro America. Sono arrivati da noi dopo aver visto il loro mondo devastato, i suoi abitanti convertiti sotto il tiro dell’archibugio o sterminati… Non solo la TV ci inonda di delitti,di guerre, di atrocità ma anche una semplici fila di Borlotti ci racconta lo scandalo della storia passat, presente, e futura purtroppo che solo la nostra Beata Speranza interromperà per sempre.”
Nero e Arco parlavano forte. Il loro racconto passò da Borlotto a Borlotto e ogni boccio si inumidì di rugiada e di lacrime minuscole, di Borlotti.
Commenti recenti