Il più bel mestiere del mondo.
Il lavoro che ho fatto sin qui, di servitore della chiesa, manovale della Parola e testimone di Speranza, e che continuo a fare, è stato faticoso, delicato, difficile, doloroso a volte, altre specchio impietoso delle mie insufficienze, ma, ciononostante è stato ed è un magnifico vivere poiché al servizio comunque di valori eterni: la fede, l’integrità. La laboriosità, la misericordia, il perdono, la fedeltà, la ragione ma, soprattutto e in somma, secondo la sintesi magistrale che Paolo l’apostolo ha fatto del cristianesimo in Tito 2:11-13: operaio della “Grazia che ammaestra a vivere nella giustizia, nella temperanza, nella pietà… Aspettando la Beata Speranza.”
Ma altri lavori meravigliosi avrei amato fare: il muratore che lascia testimonianze secolari di se, l’agricoltore che nutre il mondo ed è ogni giorno testimone del mistero della vita, il giornalista onesto che è guardiano della libertà, il politico che opera laddove si può rendere più accettabile l’esistenza terrena; poiché la qualità della vita la si migliora o peggiora nei consigli comunali, regionali, nazionali. L’idea che tutte le organizzazioni statali siano uguali è una scemenza assoluta che chiude gli occhi sulla storia passata e recente e che accomuna feroci dittature a democrazie mature. Che equipara stati dove si è curati gratuitamente dalla nascita alla morte a stati dove non c’è un medico nel raggio di 500 chilometri.
Ma, forse, il lavoro che più avrei amato fare è quello del maestro elementare che si trova davanti a se per cinque anni dei bambini, fatti si della stessa pasta dei grandi, già tarati dall’istinto dell’egoismo, del potere e della violenza ma i cui occhioni hanno ancora fiducia nell’uomo e sono pronti ancora a credere laddove c’è umanità e carisma.
Gesù propone i bambini a modello dell’uomo che vuole essere degno del regno di vita a venire. Credo, per la consapevolezza serena della sua insufficienza, del bisogno altrui, della sua capacità naturale di fiducia negli dei che di volta in volta ha di fronte: il papà che tutto sa fare, la mamma miniera di amore, la maestro, o il maestro, autorità morale indiscussa.
Ho fatto per 15 anni l’animatore giovanile. Per un certo periodo Ho organizzato cinque-sei campeggi l’anno. Il primo era quello dei Tizzoni, 6-11 anni. A parte la preoccupazione dei possibili incidenti, era quello il campeggio più gratificante e gioioso. Mai ho amato la vita come in un campeggio di Tizzoni. Le meditazioni e i canti al fuoco da campo toccarono forse l’apice della gioia.
Avere davanti 100 bambini che pendono dalle tue labbra e ascoltano rapiti le storie che gli racconti, gli esempi che porti,e vederli poi mettere tutto se stessi nei mimi, nelle scenette, nella ricerche in piena natura è ogni volta commovente. Ma, l’apice di tutto, era sempre il riso. Vedere ridere 100 bambini a crepapelle è uno spettacolo unico perché ridono di gusto, con tutto se stessi.
Mia moglie che insegnava i canti ed io avevamo inventato una pantomina di cui i bimbi erano ignari. Mentre mia moglie dirigeva i canti io mi nascondevo dietro di lei, e nel pieno del suo impegno le facevo il verso per poi rapidamente sparire dietro una catasta di legna. I bambini ridevano a crepapelle e quel riso così naturale e ricco mi rimane nel cuore come uno spettacolo unico. Ma è solo uno dei cento eventi simili che si ricavano ad ogni campeggio. Già per gli esploratori (12-15 anni) tutto cambiava, Tutto era ancora bello, ma i Tizzoni erano sempre un’altra cosa: per il grado di spontaneità e di fiducia.
Trovarseli davanti per 5 anni deve essere faticoso e meraviglioso. Un campo di semina dal grado massimo di fertilità capace di produrre, se ben seminati, frutti e fiori dai colori dell’arcobaleno.
Mi ha evocato tutte queste cose una breve intervista a Antonella Schioppa, cantante, ex allieva del maestro D’Orta, l’autore indimenticabile di ” Io speriamo che me la cavo.”
Alla domanda: “Gli alunni del maestro D’Orta oggi che fanno?”. Antonella risponde su Oggi: “Ce la siamo cavata tutti, chi più chi meno.” Ad Arzano, uno dei centri più sgarrupati dell’intero Meridione.
Dice ancora Antonella: “Erano anni difficili quelli in cui il maestro D’Orta arrivò nella nostra scuola. Gli anni post terremoto con tante case sgarrupate e una disoccupazione che colpiva almeno la metà delle nostre famiglie. Il suo più grande insegnamento è stato quello di farci credere in noi stessi, nelle nostre capacità, nei nostri sogni…Di continuare a credere sempre in domani migliore”. Dopo avere elencato la maggior parte della sua classe come persone oggi inserite onestamente e operosamente nella società, Antonella conclude: “Tanti di noi se non l’avessero incontrato avrebbero potuto prendere strade sbagliate. Era facile a quei tempi ed è facile oggi. Ma il nostro maestro, prima ancora di istruirci, ci ha insegnato il valore della disciplina, dello stare insieme, di sentirci parte della società”.
Il maestro, si, il maestro elementare, se svolto con competenza e passione, è forse il più bel lavoro del mondo perché ha ancora possibilità di costruire nei piccoli cuori ancora aperti un futuro diverso e migliore.
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