Predicare Cristo

 
Rolando Rizzo
PREDICARE
CRISTO
Editore ADV, 2003 Sede operativa di Firenze euro 14,00
tel. 055-5386230
ISBN 887659132X, 9788876591327
222 pagine

La Prefazione di Piero Bensi

Predicare Cristo è un manuale di omiletica. Nel contesto odierno e nel panorama delle moderne tecniche della comunicazione, la predicazione potrebbe sembrare, a prima vista, un rito di altri tempi. Secondo l’autore, non è così! Il sermone, fondato sulla Parola scritta e sulla Parola vivente, resta ancora il veicolo per eccellenza della fede. La verità viene lanciata nel cuore degli uomini e donne come colombe bianche nel cielo della pace. Ogni predicatore, laico o pastore, sa che il tempo dedicato alla preparazione del sermone diventa fecondo se la Parola che si annuncia è parte integrante della propria esperienza di fede.

Prefazione di Piero Bensi

L’omiletica (dal greco omilèin = parlare, comunicare) è quella parte delle discipline teologiche che si occupa specificatamente della predicazione cristiana: come prepararla, come studiarla, come presentarla alla comunità dei credenti (e anche dei non credenti, quando abbiamola gioia di averli presenti!).
In genere l’omiletica viene considerata la cenerentola delle materie teologiche. quando la si paragona a discipline di ben maggior peso come lo studio dell’Antico Testamento, l’esame approfondito del Nuovo Testamento, la teologia dogmatica e la storia del Cristianesimo. Questi sono i maestosi fiumi che dobbiamo navigare durante i nostri studi teologici, con l’aggiunta, qua e là di qualche affluente minore. Se tuttavia si considera che l’omiletica ha proprio il compito di far scaturire, da queste acque maestose che abbiamo citato, la sorgente cristallina della predicazione, ci rendiamo conto che non si tratta di una disciplina secondaria. Vi sono molti credenti i quali pensano che quando uno conosce bene la Bibbia ed ha un po’ di facilità di parola, non ha bisogno di altro per riuscire a parlare 15 20 minuti in chiesa (il tempo medio di una predicazione). E’ un modo di pensare molto superficiale e del tutto sbagliato. Anzitutto la cosiddetta “facilità di parola” non è affatto una virtù cristiana, né un dono dello Spirito Santo. Basta ascoltare i nostri politici: a volte parlano per ore, senza dire nulla. 1 predicatori dell’Evangelo, quelli veri, non hanno un eloquio facile, proprio perché conoscono la serietà dell’oggetto delle loro parole. D’altro lato si deve anche dire che una seria preparazione biblico teologica non è di per sé una garanzia per una predicazione interessante e valida. Nella mia lunga esperienza pastorale, mi è capitato più d’una volta di ascoltare colleghi teologicamente ben preparati, ma la cui predicazione non era altro che o un minestrone moralistico (“fate questo” “non fate quello”) o una sorta di excursus filosofico che di tutto parlava meno che del chiaro messaggio dell’Evangelo. L’omiletica, appunto, c’insegna a far tesoro di quanto abbiamo imparato nei grossi volumi di teologia e a portare questo tesoro sul pulpito sapendolo donare a chi ci ascolta, non perdendo mai di vista che siamo “ambasciatori per Cristo” e nient’altro.
La Parola di Dio in senso assoluto e primario è Gesù Cristo e lui solo. Dio ha voluto parlare agli uomini e non lo ha fatto in altro modo se non venendo egli stesso in mezzo a noi nella persona del suo Figliuolo. Giovanni lo dichiara in modo inequivocabile nel prologo del suo Evangelo e nella sua prima epistola. La Bibbia è, per quanti non sono stati contemporanei di Gesù, la testimonianza resa da uomini ispirati dallo Spirito alla verità del Cristo di Dio. Perciò non è sbagliato dire che la Bibbia è Parola di Dio, ma solo in senso secondario rispetto alla persona del Cristo. E la predicazione? Il grande teologo K.Barth non ha nessuna difficoltà nel dichiarare che anche la predicazione cristiana fedele è anch’essa Parola di Dio, ma in senso terziario, in quanto ci rimanda alla Bibbia e attraverso questa al Signore Gesù Cristo. Di qui nasce tutta la dignità dell’ omiletica, la quale ha il grande compito d’insegnare al predicatore come fare per mantenersi fedele alla Parola scritta ed in secondo luogo come tradurre il pensiero biblico in un discorso comprensibile a tutti. La responsabilità del predicatore è enorme: “l’inconcepibile presunzione di un piccolo uomo di salire su un pulpito e annunziare la Parola di Dio” (Barth). “Non sono mai salito sul pulpito senza che le ginocchia mi sbattessero l’una contro l’altra” (Lutero). Se il predicatore è di questa specie ed è cosciente della sua responsabilità, sentirà il bisogno di essere aiutato per la preparazione e l’annunzio della predicazione. E questo è proprio il compito dell’omiletica. Siamo pertanto grati al pastore Rizzo che si è sottoposto alla non lieve fatica di mettere per scritto le sue lezioni di omiletica, molto chiare e istruttive, che potranno essere utili ne sono certo anche a studenti e pastori non avventisti. Il discorso di Rizzo si svolge in modo scorrevole, interessante e non privo di humor. Il capitolo V, ad esempio, dal titolo: “Cosa rende vivo o uccide un sermone ” è ricco di spunti originali, che il predicatore sperimentato avrà certamente scoperto per conto suo, ma che è bene viceversa che il giovane studente, che deve affrontare per la prima volta il pulpito, tenga ben presente. Ci sono molto modi per “uccidere” un sermone anche ben preparato biblicamente e teologicamente, e Rizzo ne elenca parecchi tanto da obbligare chi ha letto qual capitolo a rivedere i propri sermoni (è successo anche a me!). Di particolare importanza il capitolo VI in ci si tratta della introduzione e della conclusione del sermone: due parti che vanno preparate alla fine, quando il corpo del sermone è ormai preparato. Troppi sono i predicatori oggi che magari sanno sviscerare bene il testo sui vogliono predicare e sanno anche suddividere con intelligenza gli argomenti; ma poi sfortunatamente non si preoccupano affatto di come introdurranno il loro discorso e di come lo concluderanno. L’introduzione è come un antipasto: se è buono e leggero dispone i commensali a ricevere con desiderio e curiosità le portate successive. La conclusione deve lasciare l’uditore con un con un messaggio chiaro nella mente e nel cuore tale che si domandi in che modo bisogna rispondere.Un punto da leggere con attenzione (che forse andava sviluppato di più) è l’individuazione della punta del discorso (pag, 131): questo è veramente il pernio intorno al quale deve ruotare tutto il sermone, è il “messaggio” centrale che il predicatore ho ricavato del suo testo e che vuol trasmettere al suo pubblico. Un antico predicatore diceva sempre ai suoi studenti che il “messaggio centrale” è come un pugno che deve colpire l’uditore. Di notevole interesse, nel capitolo terzo il confronto fra le liturgie di alcune chiese evangeliche. Sovente i pastori tendono ad essere un po’ formalisti e una volta adottata una liturgia, la seguono per tutta la vita senza mai chiedersi se i fratelli e le sorelle non ne siano un po’ stanchi. Qualche variazione ogni tanto può fare del bene. Altri punti del libro sono da sottolineare, ma lasciamo che lo facciano gli studenti, in modo da non togliere loro il piacere della scoperta.
Prof. Bensi Piero

Villa Aurora – Istituto Avventista di cultura biblica

Alla memoria del pastore Calogero Loiacono
Che con la sua predicazione di Cristo
In quell’angusto localino di Via Vallone del grano 33
A Rossano Calabro
Mi fece amare il sermone, a 12 anni.

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